Archive | maggio, 2019

Interviste – fotografia, performance, teatro.

Quando i linguaggi artistici convivono.

Alla scoperta di Davide Bordogna

Intervista di Piera Cavalieri

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Oggi sono molteplici gli esempi in cui più linguaggi artistici  convivono. La tua serie “Luminanda” ne è un esempio molto riuscito, una  ricerca sul rapporto tra corpo, performance, teatro e fotografia. In questa ricchezza di combinazioni hai trovato il materiale per costruire il portfolio selezionato nel concorso “Migrazioni: una molteplicità di esperienze.”Ci puoi raccontare come è nata l’idea e che tipo di lavoro hai fatto per immedesimarti e restituirci questa idea della comunicazione corporea ?

 Ho conosciuto l’associazione Luminanda un anno fa, assistendo al saggio teatrale conclusivo della stagione di laboratorio. E’ stata un’esperienza molto intensa che mi ha colpito ed emozionato profondamente.Ho sentito una grande energia librarsi dai giovani attori, energia che ha fatto nascere in me la curiosità di conoscere meglio l’attività dell’associazione.Ho proposto a Veronica, che dirige il laboratorio di teatro, di permettermi di seguire il successivo anno di incontri, raccontando con le mie fotografie il loro percorso e la loro attività.Fortunatamente Veronica mi ha accolto all’interno del gruppo.Dapprima il mio approccio è stato piuttosto distaccato, impersonale: stavo semplicemente realizzando un reportage di quanto accadeva durante gli incontri. Ho ben presto capito che questo atteggiamento non mi avrebbe permesso di ottenere il racconto che avevo in mente, e che per fare ciò che desideravo era necessario “entrare dentro” quanto accadeva. L’energia, che dapprima mi aveva incuriosito, mi aveva ormai contagiato, ed assecondarla e farmi coinvolgere è stata la chiave della svolta che ha poi preso il lavoro fotografico.Ho cominciato quindi a scattare entrando in scena con i ragazzi, che nel frattempo si erano anche abituati alla mia presenza.Questo nuovo punto di vista, e questo nuovo atteggiamento, mi ha permesso di realizzare più di un semplice racconto didascalico di un percorso teatrale. Mi ha regalato l’opportunità di cogliere, vivendoli, momenti di condivisione, di intimità, di vicinanza ma anche solitudine, attimi di grande intensità alternati ad esplosioni di allegra leggerezza.E’ stata un’avventura che mi ha donato molto sul piano umano, spero con le mie fotografie di aver in parte restituito il regalo ricevuto.

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Osservando “Luminanda” l’impressione è di una sorta di esperienza collettiva, di condivisione ed empatia, di cui rendi partecipe lo spettatore. Era quello che cercavi quando hai iniziato il lavoro o è venuto fuori durante?

 Il laboratorio di Luminanda è soprattutto un’esperienza collettiva. Fare teatro, in questa accezione, con questa modalità e con la finalità umana e sociale che l’associazione si propone, non è funzionale alla sola messa di scena di un soggetto, anzi. La rappresentazione davanti ad un pubblico è la conclusione di un cammino della durata di un inverno, che coinvolge corpi e anime, durante il quale il tema stesso dello spettacolo nasce dai ragazzi che vi partecipano. Ogni volta essi portano un po’ della propria esperienza personale, dei propri sentimenti, dei propri sogni ed aspirazioni, della propria fantasia, allegria e nostalgia. Ad ogni incontro essi stessi creano la storia regalando qualcosa di sé, qualcosa che racconta di loro.E’ così che la narrazione, messa poi in scena, nasce, si sviluppa, cambia repentinamente forma e contenuto, si stravolge infinite volte, fino a trovare la forma definitiva.Tutto questo era quello che avrei sperato di trovare quando ho iniziato il mio percorso con Veronica ed i ragazzi. Fortunatamente le mie aspettative sono state abbondantemente superate.

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Abbandoniamo “Luminanda” e passiamo ad altri lavori.  È  comunque evidente il tuo interesse per il paesaggio umano, che cogli in movimento, in quegli attimi che evocano possibili storie per ogni soggetto.

E poi ci sono i ritratti fatti con una eccellente cura estetica. Puoi raccontare come procedi, visto che ogni buon ritratto richiede una certa capacità di empatia?

Da un anno a questa parte, l’essere umano è diventato centrale nella mia fotografia. Sono le persone e le storie che portano con sé, che attirano la mia attenzione, con le loro espressioni, i gesti, le azioni, il loro rapporto con lo spazio.Il ritratto per me è la possibilità di entrare in contatto con le persone e cercare di coglierne un’espressione, un istante che racconti un po’ di loro.È fondamentale che i soggetti nel mio set si sentano il più possibile a proprio agio, dimentichino, per quanto sia possibile, di essere davanti ad una macchina fotografica.Per fare questo cerco di stabilire un contatto umano, cerco di farmi raccontare un po’ di loro mentre io racconto di me, creando così un momento di fiducia e condivisione.È quando si crea questa “zona franca” che il soggetto lascia cadere un po’ le proprie difese, dandomi la possibilità di cogliere, o almeno provare a farlo, qualcosa che arriva in superficie dal profondo.

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Interviste – come nascono le idee e le poetiche.

Quando la finzione racconta la realtà.

Alla scoperta di Nicola Perfetto

Intervista di Piera Cavalieri

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©Nicola Perfetto,“Il fango, la luce, la memoria“

 

“Il mondo della non violenza”,il portfolio selezionato nel concorso Migrazioni:una molteplicità di esperienze, èun mondo in cui la diversità è un valore fondante. Alla foce del Volturno, il mare sputa quello che noi con noncuranza  abbandoniamo. Qualche tempo fa, sulla suggestione delle cronache drammatiche, che ci mettevano sotto gli occhi che a perdere la vita sono anche i bambini, in quei modi tragici che la riva del mare ci ha costretti a guardare , Nicola Perfetto ha utilizzato quei detriti. Ha così iniziato a costruire i suoi personaggi e quelle messe in scena dove, la finzione arriva al vero ancora più della documentazione.

Nel tuo “Il mondo della non violenza”, crei una magia, un gioco tra realtà e finzione, o meglio tra realtà e invenzione e riesci a raccontare il vero del nostro tempo in modo poetico. 

 Colpisce il tuo sguardo inedito che mette a fuoco un tema drammatico e ripetutamente fotografato tanto da scivolarci, spesso davanti agli occhi, senza il sobbalzo necessario.

Hai voglia di raccontare a cosa ti sei ispirato per la prima immagine della serie e se hai seguito un’idea per tutta l’opera o se ogni immagine è venuta dopo aver creato la prima?

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©Nicola Perfetto, “Il mondo della non violenza”

“Ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente ciò che gli è stato concesso di scrivere” Jorge Luis Borges.Fu ad aprile del 2015, portai la mia inquietudine al cospetto del mare per trovare un po’ di conforto, camminavo sul bagnasciuga, raccolsi un osso di seppia, era bello di un biancore puro, pensai alla morte del mollusco; mi attrassero i detriti, gli scarti dell’uomo, mi fecero anche loro pietà. Pensai al bimbo spiaggiato senza pietà.Fu allora che unii l’osso di seppia ad un pezzo di polistirolo e fu la testa, mi piacque pensare così alla diversità che rende la vita attraente e degna di essere vissuta ed allora, pensando ai migranti, feci il padre, poi il figlio e infine la madre, li misi nel deserto e li fotografai. Mi piacque molto. Continuai con le opere che conosci.

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©Nicola Perfetto, “Il mondo della non violenza”

Su facebook hai pubblicato alcune foto dove ogni personaggio , sempre della stessa serie, ha un nome, Yasmin e Karim, Amir, Serafino. Ti sei ispirato a persone reali?

I nomi sono di fantasia ma veri della cultura araba, Serafino era un nome simpatico e l’usai. Le pubblicazioni su fb recavano di pensieri di vita vissuta senza violenza, che volevano far riflettere su quanto fosse appagante vivere una vita semplice all’insegna dell’amore totale, rivelatore della meravigliosa vita.

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©Nicola Perfetto,“Il fango, la luce, la memoria“

Spesso, su facebook, accompagni le tue foto a poesie di grandi poeti. L’ispirazione ti arriva dalla poesia o dopo la creazione dell’immagine cerchi la poesia che la può impreziosire o semplicemente affiancare?

 La poesia mi accompagna dall’adolescenza da quando mi accorsi del mistero della vita: c’è una forza inspiegabile che invita a vivere ed un’altra che mortifica quell’invito, è da questo contrasto che nasce la poesia.

Ho sempre avuto timore delle persone sicure di sé. I miei amici sono stati tutti senza certezze, li ho amati, molti erano squattrinato, i miei stipendi li abbiamo spesi insieme.

Parto dall’immagine e cerco complicità nella poesia.

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©Nicola Perfetto,“Il fango, la luce, la memoria“

“Il fango, la luce, la memoria “è un lavoro molto delicato di atmosfere sospese, di materie naturali, minime, di tracce di memoria. Puoi raccontare come è nato?

 In punta di piede ho percorso un lungo viaggio in territori non estesi e “usando la lente d’ingrandimento” mi sono imbattuto in mille occasioni irripetibili che ho documentato con la fotografia. Tutto nella perfetta solitudine dello scatto.

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©Nicola Perfetto,“Il fango, la luce, la memoria“

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©Nicola Perfetto,“Il fango, la luce, la memoria“