Inaugurazione
lunedì 20 luglio ore 18.00
Teatro del Levante Via Combattenti Alleati, 4 Sori (Ge)
RESET : La magia della natura e le sue infinite metamorfosi ci regalano storie silenziose e “colpi di scena”
RESET – Nazzareno Berton e Sergio Carlesso © All rights reserved
COME LE FOGLIE D’AUTUNNO – Cinzia Battagliola© All rights reserved
NATURA MARINA – Paolo Maggiani© All rights reserved
INSIDE – Chiara Natta © All rights reserved
NEBBIOSAMENTE – Francesca Parenti Brambilla © All rights reserved
OPERE VINCITRICI ex – aequo Espacio Disponible di Monica Ortega e Vissuta Abbandonata di Francesca Parenti Brambilla
The landmarks that remain in the margins of everyday life. ‘Espacio Disponible’ focuses mainly on the new territories that emerge as a consequence of the environmental degradation and industrial decay.
Monica Ortega
Il progetto fotografico Vissuta Abbandonata si compone di due differenti parti: nella prima sono ritratte le campagne abbandonate e lasciate andare allo sfacelo del tempo.
Nella seconda invece, attraverso il recupero di foto d’epoca, sono ritratte le famiglie che hanno abitato e vissuto, anni prima, quegli stessi luoghi.
Da un lato dunque i luoghi abbandonati dall’uomo, dall’altro gli stessi posti abitati e vivificati dalla loro presenza e cura.
Francesca Parenti Brambilla
a seguire in ordine alfabetico Ilenio Celoria(Mediterraneità), Carolina Cuneo (Il mare tra le terre), Massimiliano Morini (I giardini di Aegusa), Lorenzo Palombini (Passetto)
Il viaggio è l’elemento strutturale della sequenza di immagini che rappresentano panorami “emozionali” all’interno dei quali sguardi su uno stesso luogo convivono sovrapponendosi.Mediterraneità è un portfolio nel quale i paesaggi del Mediterraneo sono un pretesto per rappresentare panorami ideali che trascendono i limiti della fotografia documentaria: attraverso l’accostamento di sguardi con prospettive diverse lo spazio oggettivo diventa spazio immaginario. Italo Calvino nel suo libro “Le città invisibili” scrive: ” […] Diomira, città con sessanta cupole d’argento, statue di bronzo di tutti gli dei, vie lastricate in stagno, un teatro di cristallo, un gallo d’oro che canta ogni mattina su una torre. Tutte queste bellezze il viaggiatore già conosce per averle viste anche in altre città. Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate si accorciano […], gli viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’esser stati quella volta felici”.Mi piace pensare ai miei viaggi nel Mediterraneo come un vagare senza meta alla ricerca della bellezza; mi piace immaginare il progetto come un diario visivo nel quale le fotografie non sono solo ciò che ho visto, ma anche quello che il mio cuore ha sentito.
Ilenio Celoria
Aegusa è l’antico nome di una delle isole Egadi, in Sicilia.Fra le sue caratteristiche vi è la presenza di vaste aree scavate nei secoli passati per l’estrazione di una roccia impiegata nell’edilizia.Nel tempo l’attività estrattiva, ridotta fino al completo esaurimento, fu sostituita da nuove forme di sfruttamento, secondo criteri storicamente diffusi in tutto il bacino mediterraneo: molte cave, chiamate “tufare” dagli isolani, divennero sedi di giardini botanici e agrumeti per via del loro buon microclima e perché ben riparate dal vento, mentre nella roccia facile da scavare e ben isolante furono ricavate numerose dimore.Oggi questi luoghi tendono ad essere riqualificati ai fini della locazione turistica, creando contesti molto suggestivi, i cosiddetti “giardini ipogei”.Trovandosi sotto il piano di campagna, spesso delimitati da muretti e dalla vegetazione spontanea, i giardini ipogei costituiscono una specie di paesaggio parallelo, nascosto, un mondo “di sotto” complementare a quello comunemente accessibile “di sopra”.Ciascun dittico propone il doppio volto dell’isola componendo viste o dettagli dell’uno e dell’altro; ogni coppia di immagini è idealmente separata dalla linea del suolo.
Massimiliano Morini
Ad Ancona ogni persona sa cosa è il “Passetto” ; per i cittadini locali un luogo simbolo, pervtanti forse solo una “banale” spiaggia come tante. A me invece è entrata nel cuore e per questo ho deciso di raccontarlo. L’accesso è impervio, una lunga distesa fino al di sotto della rupe, e ci si ritrova in un altro mondo. Il senso di totale abbandono ti avvolge, dei rumori cittadini più nulla, solo pochi suoni, tu, il mare, poco altro. La solitudine è solo apparente, qui in tutto è presente l’attività umana, benchè l’uomo sia assente, Nel silenzio, sembra quasi che la natura stesse aspettando il ritorno di qualcuno.
Lorenzo Palombini
Il bacino del Mediterraneo è il luogo nel quale si svolse il racconto dell’Odissea. La leggenda narra che nell’isola di Ogigia la ninfa Calipso, il cui nome significa “colei che nasconde” trattenne Ulisse per sette anni. Oggi a Gozo si possono immaginare i luoghi dell’isola cantati da Omero. Ogigia o Gozo non è un luogo per vivere, ma per fermarsi a riflettere dopo una lunga guerra accompagnata da emozioni violente. I sette anni del soggiorno di Ulisse indicano un periodo di tempo sospeso e privo di emozioni, apparentemente senza fine, necessario per rivedere i momenti della vita e metterli nella giusta prospettiva in attesa di ricominciare. Una liberazione fisica e spirituale per cercare di capire e ricaricarsi attraverso l’immobilità. Oggi non siamo più capaci di fermarci o di lasciarci andare al flusso delle giornate: abbiamo sempre la sensazione che il tempo ci sfugga. Tutto avviene in modo ossessivo: le immagini ci circondano e scorrono a una velocità che ci toglie quasi il respiro. Le fotografie di Gozo, simili ma non uguali, cercano, obbligando l’occhio a fermarsi, di prolungare lo sguardo e di dilatare il tempo della riflessione.
Carolina Cuneo
Ascesa e declino della tradizione olearia in Balagne. (Corsica)
“…Il segno delle due guerre e l’emigrazione accelereranno il declino, fino al colpo di grazia del 27 agosto 1971 : quel giorno , un immenso incendio annienterà in un pomeriggio la quasi totalità delle olivaie della regione. Oggi, specie nei villaggi di montagna, si trovano ancora dei frantoi… la maggior parte è in rovina, ma in altri, ancora funzionanti, sopravvive il mestiere della spremitura delle olive con attrezzature e sistemi tradizionali.”
Enzo Berti
La Laguna di Marano inquieta con la sua calma costante,riportando ad una poetica dove è tutto necessariamente lento e rarefatto.
La natura incontaminata trasforma lo sguardo in un viaggio introspettivo senza tempo annullando l’uomo ed i suoi manufatti che diventano parte di essa.
I cartelli indicano la direzione:ma è,questa,davvero così importante?
Marcella Giorgetti
“Antica masseria”Cassibile(Siracusa) Il complesso archittettonico-urbanistico risale al settecento ed è situato all’ingresso della cittadina di Cassibile,ed è circondato su tre lati dalla campagna.L’insieme,ora in stato di abbandono quasi totale,è composto da vari edifici,la chiesa ,la casa padronale,e altre strutture designate alle attività,prevalentemente agricole del luogo. Nelle vicinanze sono anche iresti di un edificio religioso più antico.
Chiara Natta
orari mostra da lunedì a sabato h 15,30 – 19,30
La giuria si è riunita il 19 dicembre 2014 e ha assegnato i seguenti riconoscimenti:
con Espacio Disponible
ex aequo
con Vissuta Abbandonata
a seguire
Ilenio Celoria con Mediterraneità,
Carolina Cuneo con Il mare tra le terre,
Massimiliano Morini con I giardini di Aegusa,
Lorenzo Palombini con Passetto
La giuria ha anche selezionato alcune fotografie di
Non ho simpatia per gli intervistatori, ma accetto perché sei stata una mia allieva. Gli intervistatori mi fanno sempre le stesse domande, non me le fare anche tu! Ricordo, e mi viene da ridere a ripensarci, quando in TV, un noto giornalista, un bell’uomo, alto e distinto mi intervistò…iniziò così: “Lei è la grande, famosa, importante…- si intuiva che non ricordava neanche il mio nome – finalmente ispirato dal suo angelo protettore – “Giuliana Traverso la famosa scrittrice!”
“Grazie! E’ la prima volta che sento dire scrittrice a una fotografa, non mi era mai successo! Ho sempre sostenuto che la fotografia sia uguale allo scrivere…”.
Bene, ora iniziamo e ti prego non con le solite domande.
Parliamo di una cosa che tutti sanno e cioè che sei una grande ritrattista ma, pochi, sanno che non sei fisionomista. Mi sembra interessante capire come sia possibile conciliare questo aspetto con la capacità di ritrarre le persone in modo così intenso e azzeccato.
Ho sempre pensato che fosse un problema ma mi sentivo molto sicura e l’ho sempre superato. E’ come se avessi una mia disciplina, che mi ha forgiato il carattere e che mi impone una fiduciosa sicurezza nell’affrontare il mio lavoro o quando devo parlare in pubblico.
Tu però hai sempre una tua naturalezza, c’è sempre un fluido che gira quando parli, come una speciale capacità di entrare in empatia.
E’ vero, sembra così
Tornando al non essere fisionomista, mi ha sempre affascinato questo tuo “difetto” perché immaginavo ti aiutasse a guardare lentamente, a tirare fuori l’essenza delle persone, la loro “forma”, cosa impossibile nella visione veloce che cataloga e scarta, passa oltre.
Inizia a piacermi questa intervista. Non ho mai avuto la fortuna di pensare questo ma, mi fai venire in mente la frase di una persona a me molto cara che, poco prima di morire mi scrisse in una lettera: “Tu sei una persona che ruba l’anima, ma gli altri non se ne accorgono” e anch’io non me ne accorgo. Su questo ho dovuto farmi un bell’esame di coscienza.
© Giuliana Traverso, Edoardo Sanguineti da“Il Gesto discreto” 1998
Potresti spiegare il tuo modo di guardare?
Me l’hanno spiegato, nel cervello avviene una registrazione di immagini che vengono archiviate e poi richiamate all’occorrenza. Per esempio quando si pensa, Piazza De Ferrrari, a Genova, tutti hanno immediatamente in mente come è piazza De Ferrari. A me non succede proprio così, ma provo a spiegarmi, a un certo punto è come se avessi troppo caldo e dovessi liberarmi di qualcosa. Il mio cervello si libera e si muove più agevolmente. A quel punto inizio ad aiutarmi guardando la gestualità delle persone, la posizione della testa, come sono messe le mani e vedo chi mi sta di fronte come un disegno…trovo la forma.
© Giuliana Traverso, Emanuele Luzzati da“Il Gesto discreto” 1998
Come ha iniziato a vedere la forma?
Dato che mi sei simpatica, te lo racconto. Molti anni fa accompagnavo il mio ex marito agli incontri di un noto circolo fotografico genovese. A quel tempo gli uomini erano più cavalieri, con me lo sono anche oggi, forse perché sono anziana (sorride), mi davano l’unica sedia disponibile ed io mi sedevo e li guardavo. Si mettevano intorno e iniziavano a passarsi le foto, però, sopra la mia testa senza mai mostrarmele, ero una donna. Erano gli anni in cui si iniziava a fare un po’ di cultura fotografica. Ho dovuto così guardare le foto sempre alla rovescia, vedevo solo le linee e la luce che le attraversava. All’inizio mi annoiavo poi ho capito che era una cosa meravigliosa, perché dentro di te capisci immediatamente quando una foto è squilibrata, ed ecco perché ho un grande senso dello spazio, che ho sempre cercato di insegnare alle mie allieve. Non è immediato ma a poco poco capiscono che quel modo di porgersi e di occupare lo spazio contiene il ritratto. Credo di aver imparato tanto da quel modo di guardare. Ricordo che un giorno stava girando una foto di Mario Giacomelli, allora sconosciuto “…sfoca tutto, è sgranata, è bruciata, non sa stampare, non sa usare il prussiato…”. E’ stata quella l’occasione in cui ho finalmente reagito, mi sono alzata, anzi sono salita sulla sedia e “Adesso basta. Questa è la foto più bella che sia mai arrivata qui dentro” e ho pensato “ora me la faranno vedere dal dritto” no! Se la sono passata e guardandomi con sfida l’hanno scartata! Così è andata. Lo stesso è successo con Mario Lasalandra, con quei fotografi che mettevano un po’ di anima e che facevano diventare la loro foto, personale.
Il tuo racconto mi suggerisce l’idea che questo tuo guardare dalle retrovie, di sbieco, con la coda dell’occhio, a rovescio, abbia sviluppato in te l’acutezza dello sguardo dovuta allo sforzo di immaginare e un irrimediabile amore per la fotografia.
Mi piace questa idea, è possibile
Oggi siamo lontani dal prussiato e dalla fotografia a prevalenza maschile e la tua scuola ha contribuito parecchio.
Oggi sono cambiate un po’ di cose. Quando ho aperto la scuola, ho deciso di farla per sole donne perché era il mondo che conoscevo meglio. Le donne mostravano una maggiore capacità di trovare se stesse, di raccontare quel che succedeva dentro, insomma di guardarsi dentro. La loro fotografia rispecchiava la loro interiorità. La loro testa cavalcava più velocemente rispetto agli uomini. A quei tempi, stiamo parlando di circa cinquanta anni fa, erano poche le donne che parlavano di fotografia con gli uomini e quindi c’era poco scambio in questo senso. Certamente la sensibilità di mogli, fidanzate, compagne ha influenzato molti fotografi. Ricordo che un bravo fotografo già molto conosciuto, Francesco Radino, aveva tentato di insegnare la fotografia alla moglie, Cristina Omenetto, senza mai riuscirci e mi aveva chiesto se potevo provarci io. Lei venne, un po’ scettica, e fu un’autentica rivelazione. E’ diventata una grande fotoreporter.
© Giuliana Traverso, “Fantasmi e Vivi”,1988
Vorresti parlare dell’aspetto terapeutico del tuo insegnamento?
Mi piace questa domanda. Una sera ricevo una telefonata, era il Prof. Crepet. “…Sa io sono ancora giovane, ho già curato molta gente ma ho scoperto che molte mie pazienti le ha guarite lei…”. Voleva invitarmi a lavorare con lui. Ho rifiutato. Le allieve che vengono da me, non si sentono malate, e non è un cambio che voglio fare. Non mi parlano dei loro problemi, solo a volte. Io capisco se li hanno dalle loro foto.
© Giuliana Traverso, “Fantasmi e Vivi”,1988
Empatia … mi viene in mente un episodio che mi ha davvero colpita. Più di un anno fa in galleria, da me, si inaugurava una mostra di una giovane autrice che aveva interpretato fotograficamente i suoi sogni e quelli di amici e conoscenti con risultati molto fantasiosi. In mezzo c’era anche il sogno del curatore, ma nessuno sapeva quale fosse e neppure c’erano indizi. Tu hai immediatamente puntato il dito sull’immagine giusta nello stupore generale. Non conoscevi profondamente quella persona e con lui avevi rapporti piuttosto formali. E’ un sentire il tuo che non ti tradisce mai.
E’ un sentire come dici tu, mi è battuto forte il cuore quando l’ho detto, ma chissà perché, per me è così facile, bisogna però che io non ci pensi, ecco perché non potevo lavorare con il Prof Crepet. Non l’ho mai ringraziato per questa proposta, anche se ne ho una profonda stima e so che è diventato molto importante.
Azzardo un’idea …in tutto questo mi pare di vedere una funzione sociale, intendo dire che qui non si tratta di fare fotografia che ci fa conoscere o interpretare il mondo ma di usare la fotografia per il suo aspetto benefico e quando le persone riescono a comunicare anche la comunità, sta meglio
Certo. La scuola “Donna fotografa” l’ho inventata giorno dopo giorno, senza prendere appunti guardando sempre chi avevo davanti e modulando le lezioni. Insegnare educazione visiva anche a Milano, oltre che a Genova, mi ha aiutato molto perché a quei tempi Milano era molto più avanti.
© Giuliana Traverso, “Fantasmi e Vivi”,1988
Alle mie allieve, dedico quest’ albero che riconosco come uno dei miei ultimi autoritratti
“Voi siete le foglie, quelle che ravvivano l’anima e vivono nel vento ed io sono le radici che continuano a camminare…”.
Giuliana
Grazie Giuliana per questo regalo
© Spazio23 – fotografia contemporanea, febbraio 2015
http://www.giulianatraverso.com/
http://www.fiaf.net/agoradicult/2013/03/24/giuliana-traverso-il-gesto-discreto-di-orietta-bay/