“Dependency” e “Hello Dolly!” di Giovanni Presutti in mostra fino al 12 febbraio

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“Dependency” di Giovanni Presutti

 

 Inaugurazione 16 gennaio 2014 ore 18

 

“DA QUANTO” di Maria Tucci  (liberamente ispirato da una foto di Giovanni Presutti)

Da quanto è cominciato?”

“Che dici? Parla più forte!”

E tu levati le cuffie pensò, ma non disse niente. Aspettò e basta.

Un attimo dopo lui sfilò il copricapo metallico e rispose: “Sarà mezz’ora”.  Non finì neppure di completare la frase, gli auricolari erano nuovamente alle orecchie.

Fotogramma di ogni sera. Da dieci anni. Ecco sì, da dieci anni era cominciato. Il silenzio. Silenzio  assenza.

Guardò l’orologio, cinque minuti all’inizio del programma, meno male, avrebbe messo a tacere quelle sciocchezze, come le definiva suo marito. “Di cosa dobbiamo parlare? Siamo vecchi il tempo delle parole è concluso, questo è il tempo del riposo” l’aveva gelata seccamente una volta che le era venuto il coraggio di andare in fondo alla faccenda.  Fine delle trasmissioni. Anzi no, la sua stava per iniziare. Cambiò canale e pensieri , rapidamente. Finalmente poteva sorridere. Entrava la corte, sfilavano i pretendenti, prendeva il via la danza della seduzione senza età. Un circo di finti amori, tradimenti e inganni in cui lei poteva affogare quella amara nostalgia che provava al termine della giornata. Il suo senso critico la poneva di fronte a quello spettacolo come un giudice distaccato e dissacratore. Notava le espressioni, la gestualità, la posizione del corpo di ciascuno partecipante, scoprendone ogni falsa venatura. Attori per caso sotto un variopinto tendone televisivo, uomini e donne delusi da un vita di anonimato, decisi a dare un ultimo colpo di coda, un occhio di bue sull’ultimo atto dell’esistenza. Così se la raccontava, guardava tanto per guardare. Ma una notte si era sognata di sedere su un trono sopra una nuvola e che tante api, in un cielo luminosissimo,  le svolazzavano intorno, ognuna di loro aveva un dono, chi un anello, chi una rosa, chi una poesia. E lei era colma di brividi, immersa in una scia di passione. Di colpo il bagliore si trasformava in un fondale nero e i piccoli insetti si tramutavano in esseri umani, con le mani e il viso grinzosi, stanchi e grigi. E  si smarriva nell’inquietudine delle due realtà, non volendo scegliere tra una visione illusoria e un terrificante finale. Da allora provava più tenerezza per quei figuranti che si agitavano da una parte all’altra dello schermo.

“Ma che ci troverà di così interessante!” borbottava tra sé lui, sbirciando con la coda dell’occhio sul video della moglie. “Sempre imbambolata a seguire quelle storie d’amore tra vecchi. L’amore ce l’ha l’età, quella dei giovani!”. Girò in fretta lo sguardo riportandolo sul monitor per il timore che lei potesse accorgersene e ritornare a fare quella stupida domanda che ripeteva ogni sera: “Da quanto…”. Da quanto non sapeva, ma per quanto ancora avrebbe potuto fingere di non capire?  Ma sì, forse l’aveva sfangata. Ormai era diventata una sorta di rituale come il the delle cinque di sua moglie con le amiche. Eppure se si soffermava un attimo … i ricordi piombavano addosso spavaldi, fregandosene delle barriere costruite negli anni, soffiando con la boria di un tornado sugli strati di polvere sotto cui aveva messo a tacere la memoria della vita. Per difesa o sopravvivenza, chissà. Lo sforzo fu più impegnativo del solito, ma roteò gli occhi sul video, ricoprendo di terra ogni sussulto vitale.

Nella sala l’austerità. Un tempo nobile, oggi desueta come il mobilio, come loro. Solo le foto non rifuggivano il tempo. Fedeli custodi della storia. E per una strana bizzarria si trovavano alla medesima distanza da loro. Millimetrica. Una spartizione dei beni comuni, piatti di una bilancia in equilibrio.

Vissuti fermati. Prima seppia, poi bianco e nero, il colore recente. Non rilevanti le gradazioni. Sono i contorni, i tratti incisi come su vinile, a registrare lo scorrere delle esistenze. Scene sequenze parenti figli nipoti montagne cerimonie attimi: loro.

Forse non la risposta alla domanda “da quanto”. Ma quanto. Tutta la vita.

Si era fatto tardi. Pigiarono contemporaneamente off sul telecomando.

                                                                                                                                                     e

 

 

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“Hello Dolly!”di Giovanni Presutti

 

“Le nostre periferie sono ormai delle città cloni in cui centri commerciali,

multisale, capannoni industriali, parcheggi e alloggi popolari si susseguono

senza soluzione di continuità erodendo sempre più lo spazio vitale dal

quale deriva il nostro sostentamento. In un futuro prossimo Dolly, una

bambola di dimensioni umane unica sopravvissuta, vaga in uno scenario di

degrado che ha ridotto la Terra ad un cumulo di edifici vuoti e dismessi…

Suggestioni cinematografiche e letterarie sono alla base di ogni immagine,

in cui spicca il richiamo al cromatismo dei quadri di Edward Hopper e

alle ambientazioni fantascientifiche di Philip Dick e del filone che ha ispirato…”