“Marocchini”di Tano Siracusa
Le fotografie in b/n sono state scattate dal 1984 al 2001 in località diverse, da Asilah a Fes, dalla Valle del Dades ad Agadir. Gli scatti a colori sono invece stati realizzati dal 2009 al 2011, fra Essaouira, Marrakech e Safi.
Il Marocco è stato per me fin da subito lo scenario di un ritorno impossibile, quello della mia infanzia nella Sicilia degli anni ‘50. Un ritorno impossibile eppure evidente, allucinatorio come nei sogni.
Gli odori di cibo e gli animali per strada, i mendicanti, i bambini scalzi, i cinema e i caffè pieni di fumo, i denti guasti, le mosche e l’allegria a buon mercato, e poi le donne nascoste, una povertà dura, una gestualità teatrale, a volte solenne: cercavo e fotografavo l’incanto di quel mondo premoderno, la sua armonia, con la consapevolezza che anche lì, dall’altra parte del mare, sarebbe presto stato travolto dalla modernità, proprio come era avvenuto in Sicilia nel secondo dopoguerra.
E così è stato, così sta avvenendo. L’ultima volta che ho fotografato con la pellicola in b/n, nel 2001, molti dei luoghi visitati quindici anni prima erano irriconoscibili. Imsuane, Zagora, Ouarzazade.
Nelle riprese a colori degli ultimi tre anni ho cercato un paesaggio urbano residuale, non ancora sommerso dai centri commerciali, dal cemento sulle spiagge, dalle periferie condominiali, dal maquillage acchiappaturisti nelle medine.
Senza committenze o progetti, ho fotografato d’istinto il Marocco che ha meno tempo davanti a sé e che ormai bisogna un po’ cercare, nascosto fra le pieghe di una modernità che nella sua declinazione araba e islamica appare ugualmente incompatibile con certe forme del passato. Come alcune magnifiche casbah berbere che rischiano di venire del tutto abbandonate o come la stazione delle carrozzelle ad Essaouira, dove una sera sono capitato per caso e dove il passato è ancora presente. O semplicemente ritorna, evidente e allucinatorio come nei sogni.
Per come si sono messe le cose il futuro non sembra il migliore alleato delle differenze negli stili di vita e negli orizzonti di senso, di cui il mondo premoderno è stato invece così ricco. Mostrarle finchè ci sono può essere uno dei compiti della fotografia contemporanea.
Tano Siracusa